Bilbao
Bilbao si sveglia col blanco,
a dovere versato
fra mani stanche e consumate,
larghe, possenti,
da ricordare in quel fiato.
E si sveglia
col sapore
di calma sudorosa,
densa,
apparente velo superbo
di un tumulto silenzioso
e feroce,
disciolto poi
in gentile tirannide
al tatto ingenuo
ed innocente
di un cerco una strada.
Il silenzio e la noncuranza
fecondano il verbo
sciolto e deciso
di un’onesta familiarita’,
abbracciat’or’addosso
come ordine a soldato,
direttiva
importante
d’ineluttabile consiglio.
E poi non saluta, mai,
inutile ormai spreco
deputato
fra vecchi attori
della stessa commedia.
Bilbao ti risucchia,
disperso in osterie
sconosciute solo nel nome,
tra legno steccato
e rifiuti di giorni
e costumi;
la piazza, la fonte, i giardini:
tu,
plasmato dal sudore
di una strada affollata,
nel caotico silenzio
di un via vai
di anime
che parlano
ad odore.
E quel toro infuriato
che scalpita
ogni dentro
alita il suo ardore
fra le pieghe della notte,
fra colonne squallide
e vetrine.
Eccoti, uomo,
toro,
avvinghiato al collo
d’una femmina
un po’ schiva,
le mani a carpire,
la lingua a succhiare
il gusto di un possesso.
Grugnisci d’impeto
e furore,
la strizzi, la brami,
la annienti,
piegato sulle gambe
e lei fra loro.
Si, toro.
Quel grido e’ la tua vita,
il tuo momento,
raspare fra gonne e cosce tese,
le unghie rabbiose
e stridenti,
pungenti, feroci,
innamorate.
Bilbao poi ti risucchia,
di afa e vuoto
consumato,
sbattendoti
cosciente
fiero sconfitto
nell’arena.
La polvere si alza
al tuo crollare,
e scompari
macho
nel blanco e nel silenzio.
Toro.
Sbuffi ad ogni ole’,
carichi, sempre,
lottare,
malgrado,
spada o non spada.
E poi parti,
devoto,
al finale vincitore
dell’immenso Matador.
Muori, sconfitto.
Ma Toro. Si. Toro.
Tu.
E la voce del tuo odore
respira
solitaria
per Bilbao.
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